Cos’è l’RFId
Rfid significa Radio Frequency Identification, ovvero identificazione a radiofrequenza, con questo termine si indicano quelle tecnologie che consentono il riconoscimento a distanza di oggetti, animali e persone sfruttando le onde radio, un sistema di identificazione a radiofrequenza è costituito da due componenti principali: un trasponder o tag, e un reader. Il tag è l’etichetta che si appone all’oggetto, è qui che sono contenute tutte le informazioni ad esso relative e che lo identificano in modo univoco. I dati, memorizzati in un microchip, possono essere letti grazie a un’antenna che riceve e trasmette i segnali radio da e verso il reader Rfid. Il microchip e l’antenna, insieme formano il tag Rfid e sono tenuti insieme su un supporto fisico, il reader è il dispositivo, fisso o portatile, deputato alla lettura del tag Rfid, in grado di convertire le onde radio del tag in un segnale digitale che può essere trasferito su un computer, per comunicare fra loro il tag e il reader devono essere sintonizzati alla stessa frequenza.
Quali sono le frequenze utilizzate nell’Rfid
I sistemi Rfid utilizzano varie frequenze, che possono essere classificate come:
- basse frequenze (LF, tra 125 e 134 kHz)
- alte frequenze (HF, intorno ai 15 MHz)
- altissime frequenze (UHF, tra 860 e 960 MHz)
- micro-onde (superiori ai 2,45 GHz)
Le diverse bande di frequenze presentano caratteristiche diverse e sono quindi indicate per applicazioni differenti. In generale, al crescere della frequenza crescono la distanza di lettura e la quantità di informazioni che si possono trasferire nell’unità di tempo, diminuiscono la capacità di resistenza alle condizioni operative e i costi. I tag a bassa frequenza utilizzano poca potenza, sono capaci di attraversare materiali non metallici e liquidi, ma il segnale per la lettura non supera i 30-40 centimetri. Le etichette ad alta frequenza lavorano meglio con oggetti metallici e arrivano a coprire una distanza di circa un metro. Le altissime frequenze offrono range di lettura più ampi e permettono di trasferire i dati velocemente, ma non attraversano facilmente i materiali. Le soluzioni con tag a 2,45 GHz sono impiegate nei telepass, interporti e simili.
Come sono alimentati i tag
I tag Rfid possono essere di tre tipi: passivi, semiattivi o attivi. I tag passivi non hanno alcuna fonte di alimentazione interna e traggono la potenza necessaria ad attivare i circuiti dalle onde radio inviate dal reader che li interroga e induce una corrente nell’antenna. Secondo le norme Iso, i tag LF e HF possono essere solo passivi, mentre i tag a frequenze UHF e micro-onde possono essere anche semiattivi o attivi. Un tag semiattivo ha una sorgente di alimentazione, che non serve però ad alimentare i circuiti radio, ma funzioni aggiuntive come sensori di temperatura o di movimento.
I tag attivi, infine, sono alimenti da batterie, che offrono una maggiore portata al segnale radio e una maggiore distanza di lettura.
I tag attivi costano di più dei tag passivi e sono più indicati per tracciare il trasporto di beni di valore sulle lunghe distanze.
Sui tag possono essere sovrascritte o cancellate le informazioni
Esistono etichette “read only” (sola lettura), “write once & read many” o WORM (una scrittura, tante letture), “read & write” (lettura e scrittura) e nelle prime due forme, il tag Rfid rappresenta un’evoluzione tecnologica del codice a barre, in quanto le informazioni immagazzinate sul microchip, una volta scritte, non possono essere modificate. Nella modalità read & write, invece, quella più flessibile, il tag può essere utilizzato come una memoria dinamica, in quanto le informazioni sul chip possono essere aggiornate in ogni momento, per esempio lungo i passaggi della filiera produttiva. In genere sono poco più costosi dei tag di sola lettura.
Che cos’è la collisione dei tag
Ci può essere collisione fra i tag quando si sovrappongono le onde radio di diversi trasponder letti contemporaneamente da un reader che può confondere il segnale. Esistono sistemi anti-collisione utilizzati per gestire la lettura simultanea di più tag. Questi sistemi sfruttano degli algoritmi che “scaglionano” i segnali provenienti dai tag, regolando gli intervalli di tempo nei quali devono essere letti. In questo modo non si verificano interferenze ed è possibile prevenire eventuali errori.
Quali vantaggi offre l’Rfid rispetto al codice a barre
Rispetto al codice a barre e altre tecnologie di identificazione, la tecnologia a radiofrequenza offre numerosi vantaggi: la lettura non richiede contatto diretto e vista ottica, non c’è bisogno quindi dell’orientazione verso lo scanner.
I. tag. possono. essere. letti. contemporaneamente, possono lavorare in ambienti sporchi, contaminati e resistere anche a condizioni (agenti ambientali, sollecitazioni termiche, chimiche, meccaniche) molto difficili. Sono quindi più durevoli. Contengono più dati rispetto al barcode e possono essere riscritti e aggiornati con nuove informazioni. Operano anche immersi in un fluido, dentro l’oggetto che si vuole identificare o all’interno di un contenitore. Inoltre il codice a barre identifica solo il lotto di un prodotto, ma non il singolo item. Il tag Rfid, invece, contiene un numero di serie unico e univoco che identifica ogni singolo prodotti fabbricato nel mondo.
I tag Rfid sono più costosi rispetto ai codici a barre, ma il rapporto costi/benefici è generalmente vantaggioso. Sarebbe comunque sbagliato pensare che la tecnologia Rfid soppianterà il codice a barre. Molto più verosimilmente, le due coesisteranno.
Quali sono gli standard Rfid
Per l’Rfid esistono standard di architettura e protocollo di scambio dati e standard di conformità per le emissioni in radiofrequenza, che non devono sovrapporsi a bande di frequenza già allocate per altri impieghi (radiotelevisione analogica e digitale, telefonia cellulare, Wi-Fi…). Il problema degli standard è che non è stata ancora raggiunta la convergenza e l’unificazione a livello internazionale fra le due principali istituzioni che promuovono queste direttive: ISO (International Organization for Standardization) ed EPCglobal, l’organismo formato per regolamentare l’Electronic Product Code nella produzione e distribuzione di beni di consumo e diventato uno standard industriale riconosciuto e adottato su scala mondiale. Gli standard Iso per i tag ad alta frequenza (ISO 18000-3) e ad altissima frequenza (ISO 18000-6) sono largamente utilizzati nelle applicazioni “tradizionali” del transponder per l’identificazione di persone, veicoli, il controllo fasi di lavorazione nei processi industriali. Ma esistono numerosi altri standard ISO per i tag RFID.
Per quanto. riguarda EPC sono stati. sviluppati tag. conformi allo standard di Classe 0 (UHF), Classe 1(13,56 MHz e UHF) e. Classe 2 (UHF). Nel dicembre del 2004 è stata rilasciato un nuovo standard chiamato Gen 2, che si pensa. finirà per sostituire. gli standard di Classe 1 e Classe 2.
Che cos’è l’EPC Gen 2
Epc Gen2 significa EPC Generation 2. È il protocollo EPC di seconda generazione, progettato per operare a livello internazionale.
L’EPC Gen è al centro dell’attenzione perché sembra probabile una convergenza fra gli standard UHF Gen2 e una revisione dell’ISO 18000-6. Tutte le parti in causa (industria, ISO, EPC Global) hanno interesse a che ciò avvenga. Il processo di unificazione potrebbe contribuire a un’ulteriore accelerazione nell’adozione su scala globale dell’Rfid.
Le nazioni usano gli stessi standard per le frequenza Rfid
La situazione per gli standard di frequenza Rfid è più complessa di quella degli standard di architettura e di protocollo in quanto le norme per le concessioni delle frequenze radio, in generale, variano nei vari paesi (Europa, Usa e Giappone). Risulta pertanto complicato riuscire a una frequenza o una banda di frequenza da riservare all’Rfid su scala globale. L’unica frequenza che al momento si può considerare unificata sul pianeta è quella HF, fissata ovunque a 13,56 MHz. Alle basse frequenze la maggior parte delle nazioni ha assegnato la fascia 125 kHz o 134 kHz, ma la normativa non è unica, in quanto in Giappone e in Europa i livelli di potenza sono molto inferiori rispetto a quelli ammessi negli Usa. Il problema però in questo caso è solo apparente in quanto basse frequenze sono spesso utilizzate per applicazioni a livello locali. Più penalizzante la situazione per le UHF, uno spettro di frequenza utilizzato da molti altri dispositivi elettronici. L’Europa utilizza la banda tra 869,40 e 869,65 MHz, mentre gli Stati Uniti utilizzano come frequenza 915 MHz. Il Giappone è orientato verso la banda dei 960 MHz. Alcune organizzazioni, come la Global Commerce Initiative, stanno facendo pressioni sui governi per incoraggiare l’adozione di bande condivise.
Fonte: Cedites, Centro Studi per la Divulgazione della Tecnologia e della Scienza
Un quadro delle tecnologie Rfid in Italia
Alla netta predominanza di applicazioni passive HF (13,56 MHz), dopo la liberalizzazione delle frequenze, si sta comunque affiancando una crescita consistente di test e progetti pilota in tecnologia UHF, questo conferma la grande attesa che c’é in Italia per l’utilizzo di queste tecnologie.
Le prestazioni: “cosa non si può fare con l’Rfid e come si può porre rimedio”
Dal. momento. che. le. tecnologie. Rfid. sfruttano. la. trasmissione. di energia. in. radiofrequenza vi. è. un solo vincolo fisico insormontabile da tenere in considerazione legato alla prima delle leggi dell’elettrodinamica, la legge di Gauss, che impone che nessun campo elettrico possa attraversare una superficie conduttiva perfettamente chiusa che circondi ed inglobi l’oggetto che emette la trasmissione RF. La superficie conduttiva chiusa prende il nome di “gabbia di Faraday”, l’effetto di schermatura è ancora notevole nelle frequenze HF, mentre è molto meno rilevante per le frequenze LF. Questo vincolo fisico è alla base delle difficoltà di lettura che dispositivi HF ed UHF incontrano tutte le volte che l’oggetto taggato sia immerso in un ambiente estremameme ricco di elementi metallici che, distribuiti attomo ad esso, possano in qualche modo emulare una gabbia di Faraday o generare fenomeni di riflessione o diffrazione dell’onda come ad esempio al campo di un’antenna sottostante una rulliera.
Oltre. a. questo. vincolo. fisico. insormontabile, vi. sono. altre. tre. problematiche. nell’impiego delle. tecnologie. Rfid che discendono direttamente dalle leggi fisiche dei campi.
- Il contatto tra il tag ed. una superficie metallica, in questo caso il problema. è generato dal “corto circuito” che la superficie metallica crea sull’antenna preposta a raccogliere l’energia trasmessa sotto forma di onda radio, i tag più sensibili a questa problematica sono i tag UHF ed, in minor misura, gli HF.
- La sovrapposizione tra tag, in questo caso il meccanismo di disturbo è diverso a seconda che si considerino tag HF o tag UHF. Per i primi il problema è rappresentato dalla mutua induzione delle antenne vicine, che come effetto risultante fa si che le antenne si “accecano” vicendevolmente. Per la tecnologia UHF, invece, il problema deriva dell’effetto precedentemente descritto di corto circuito da sovrapposizione di antenna metallica su antenna metallica.
- L’orientazione del tag nel campo del reader, per la tecnologia HF l’orientazione è essenziale perché la frazione di campo che viene concatenata é solo quella che attraversa la spira chiusa dell’autenna del tag. Un tag HF che giaccia parallelo alle linee di flusso del campo generato dall’antenna del reader non sarà mai leggibile. Per i tag UHF, invece, va analizzata la relazione tra la polarizzazione dell’onda emessa dal reader e la forma dell’antenna del tag.
Le prestazioni cornplessive di una applicazione Rfid discendono in realta dalla combinazione tra le scelte tecnologiche e le condizioni operative del processo in cui la tecnologia viene applicata.
L’accuratezza della lettura solitamente viene misurata come inaccuratezza di primo tipo (tag non letti di cui si attendeva la lettura) e di secondo tipo (tag letti di cui non si attendeva la lettura). Si possono risolvere alcune problematiche intervenendo sulla tecnologia o sui processi. II contatto tra il tag ed una superficie metallica può essere risolto scegliendo dei tag “on metal”, ossia annegati in un involucro di materiale plastico che realizza lo spessore necessario per il loro corretto funzionamento (leva tecnologica), oppure modificando il packaging ed aumentandone lo spessore (leva di processo). Similmente, la problematica di mutua sovrapposizione dei tag può essere risolta scegliendo un tag meno sensibile oppure modificando lo schema di pallettizzazione. Per affrontare la problematica dell’orientamento del tag, si può scegliere un tag unidirezionale o utilizzare una ulteriore serie di antenne diversamente orientate, oppure ripensare al movimento dell’oggetto taggato attraverso il punto di lettura. Le leve tecnologiche e di processo disponibli devono pertanto essere accordate alla ricerca della soluzione che raggiunga le prestazioni di lettura richieste al minimo costo o comunque ad un costo compatibile con i benefici derivanti dall’applicazione.
I falsi miti dell’Rfid, scopriamo se metalli e liquidi sono davvero um problema
Fermo restando quanto detto sulla gabbia di Faraday, se invece si va a considerare semplicemente un ambiente con una forte presenza di oggetti metallici si devono distinguere due problematiche:
- Il caso in cui il metallo in qualche modo circonda il tag da leggere
- Il caso in cui il tag debba essere messo direttamente a contatto con il metallo
In entrambi i casi le tecnologie Rfid passive, soprattutto quelle UHF, presentano delle criticità, poiché il rnetallo tende a riflettere, al limite a scherrnare completamente, le onde radio e le antenne a diretto contatto con i metalli vengono cortocircuitate, perdendo cosi la propria funzionalita. ll primo caso è di complessa soluzione e richiede di studiare sperimentalmente il modo in cui le onde vengono riflesse e come riconfigurare l’interazione tra l’oggetto da taggare, l’infrastruttura di lettura e l’ambiente di funzionamento. Il secondo caso, invece, é di più semplice soluzione e si risolve introducendo uno spessore minimo (che varia da 6 ad 8 mm in funzione del tipo di tag) fra il tag ed il materiale metallico, é possibile recuperare in media l’80% delle prestazioni di lettura che i tag avevano in condizioni ideali, tale spessore può essere introdotto modificando il packaging del prodotto, oppure utilizzando dei “tag on metal”.
Sempre considerando tag passivi UHF, anche la presenza di liquidi può rappresentare un problema, dal momento che essi assorbono parte dell’energia dell’onda e possono quindi impedire al tag di essere “illuminato” o che la risposta giunga al reader. Ancora una volta si pongono due problematiche analoghe alle precedenti: tag circondato dal liquido oppure tag appoggiato sul liquido. Valgono le stesse considerazioni gia fatte per il metallo: il primo caso richiede uno studio per la selezione del miglior tag, il suo miglior posizionamento e la migliore infrastruttura di lettura, mentre nel secondo caso è sufficiente inserire una certa distanza tra tag e liquido, che aggirandosi attorno ai 10-12 mm, é solitamente più facile da ottenere considerando che tutti i liquidi devono avere un packaging e che difficilmente questo sarà riempito al 100% del suo volume.
Rispetto al caso del metallo, l’interazione con il liquido è meno controllabile. Il liquido, ad esempio, può presentarsi sotto forma di condense, riducendo apprezzabilmente la massima distanza di lettura di un tag UHF (pur mantenendola a valori accettabili per applicaziorii logistiche, sopra ai 2 metri).
Il passaggio da tecnologie passive a tecnologie attive riduce ulteriormente la sensibilità a queste problematiche e questo per tre diverse ragioni: la maggiore potenza a disposizione per l’invio del segnale, la presenza di una batteria e quindi di un involucro che già distanzia il tag dall’oggetto sui cui é apposto ed infine il fatto che gli ambiti di applicazione per cui si impiegano tecnologie attive non prevedono in genere situazioni in cui il tag è completamente circondato da più strati di metallo o di liquido.
Contatto e sovrapposizione
Anche questa problematica è piu significativa per le applicazioni passive che per le applicazioni attive. ll contemporaneo contatto e sovrapposizione dei tag costituisce una condizione deleteria per i tag passivi, sia HF che UHF, causando il non funzionamento per entrambe le tipologie di tag. Se si mantiene la sovrapposizione, ma si perde il contatto e si inizia ad introdurre una distanza tra i piani dei tag dell’ordine dei 2-4 mm entrambe le tipologie di tag ricominceranno a funzionare, seppure con prestazioni degradate; Lo stesso accade se, mantenendo il contatto, si perde sovrapposizione e quindi una porzione dell’antenna del secondo tag diventa visibile al campo del reader. In questo caso, lo spostamento necessario per rimettere in funzionamento un tag UHF è minore rispetto a quello richiesto dai tag HF, che devono “scoprire” almeno il 50% della supeficie della spira. Queste problematiche sono poco penalizzanti per le tecnologie UHF, esse infatti, sono principalmente pensate per identificazione nei processi logistici, ove è improbabile che gli oggetti da taggare siano cosi sottili da portare i tag completamente a contatto. In sintesi è ragionevole affermare che contatto e sovrapposizione si rivelano problematiche poco invalidanti nelle applicazioni reali.
Distanze ed angoli di lettura: quale copertura spaziale é realmente ottenibile
Le distanze di lettura variano sensibilmente al variare del tipo di alimentazione (passivi/attivi) e delle frequenze. Esprimendo dei valori indicativi, per le tecnologie passive si va dai pochi mm alle decine di centimetri nel caso di frequenze LF, dai 10 ai 20 cm per le HF e fino ai 4-7 m per le UHF, questi valori sono forternente dipendenti dalle dimensioni del tag e della sua antenna. Ad esempio un tag HF sotto forma di bottone da 14 mm di diametro ha una distanza di lettura non superiore ai 25 cm, mentre sempre un tag HF in formato tessera 80×50 mm può essere letto con antenne appropriate anche a 100 cm di distanza. Per i tag attivi le distanze crescono, arrivando oltre la decina di metri.
Con riferimento agli angoli di lettura, la situazione che si ripropone è esattamente quella dell’orientazione gia discussa in precedenza, in sintesi, i tag passivi LF e HF sono molto sensibili all’angolo di esposizione rispetto al campo dell’antenna, poichè si riduce l’area della spira capace di concatenare il campo. Come riferimento, una inclinazione di 45° rispetto all’angolo ideale può gia compromettere la funzionalita del tag. Per i tag UHF, invece, questo dipende dalla polarizzazione del campo generato dal reader e dalla forma dell’antenna (dipolo lineare o tripolare su un piano): mentre i primi non sono in grado di funzionare oltre angoli di 60° tra la propria orientazione e quella del fronte d’onda incidente, per i secondi non si riscontrano problematiche degne di nota. Ovviamente, il costo dei due tipi di tag è molto diverso, con un rapporto che può anche essere di 4 a 1.
Quanti tag si possono leggere contemporaneamente
Questa problematica si presenta in modo più marcato per applicazioni con tag passivi, che sono strutturalmente pensati per essere applicati in grandi volumi e quindi in contesti in cui si debbano leggere molti tag in poco tempo. Questo tipo di prestazione dipende dalla frequenza di funzionamento del tag, dal numero di canali che il particolare protocollo riserva alla comunicazione tag/reader e dal tipo di algoritmo dl anticollisione utilizzato, oltre ovviamente dalla corretta orientazione dei tag nel campo. Si puo affermare che per tag UHF, con una configurazione a tunnel con 4 o piu antenne, é possibile arrivare a leggere fino a 200 tag in meno di 10 secondi. Al contrario le applicazioni HF, e soprattutto le LF, sono limitate da questo punto di vista, con possibilità di leggere rispettivarnente non piu di (circa) 30 e 3 tag per secondo.
Qual é la resistenza reale ai trattamenti industriali
Questo tema di grande interesse richiede una trattazione distinta per tag passivi e attivi, in entrambi i casi c’è la necessita di progettare, in funzione dell’applicazione prevista, l’opportuno “guscio” di protezione del tag.
Rimanendo ai passivi, oggi come oggi sono gia disponibili tag in varie frequenze che possono resistere ai trattamenti di verniciatura (cicli fino a 250°C, ambienti chimicamente aggressivi). Da questo punto di vista la sfida resta lo sviluppo di processi produttivi che, mantenendo le ottime prestazioni meccaniche, abbassino sensibilmente i costi dei tag, ad oggi molto alti.
Per quello che riguarda i processi produttivi tessili (tintura, finissaggio, lavaggi e trattamenti, stiratura) e di accessori moda (incollaggi, battiture), la situazione è leggermente più articolata. Per ciascuno di questi processi sono già stati sviluppati tag capaci di resistere alle sollecitazioni: ad esempio i tag vengono gia oggi inseriti nelle suole delle scarpe o utilizzati nelle lavanderie industriali sia per biancheria appesa che piana. Le problematiche restano solo le lavorazioni meccanicamente molto pesanti (ad esempio la follatura), in cui gusci adeguati a proteggere meccanicamente il tag sono troppo rigidi e rischiano di rovinare il capo in lavorazione e, viceversa, gusci rispettosi del capo non danno sufficienti garanzie di sopravvivenza del tag al trattamemo. Oltre a questa problematica, ve ne è una ancora più rilevante relativa alla disponibilita di un tag unico con cui seguire i prodotti lungo tutto il processo produttivo-distributivo: purtroppo, un tag in grado di resistere ai trattamenti non è adeguato alla fase di stiratura, che può danneggiare il capo, mentre un tag compatibile con le fasi produttive quasi sempre si rivela inadatto a rimanere sul prodotto nelle successive fasi logistiche e di vendita, risultando scomodo da indossarsi o incompatibile con i dettami dei designer.
Per quanto riguarda i tag attivi, la problematica principale è rappresentata dalla batteria ed in particolare dalle condizioni di temperature assolute (caldo o freddo estremi) in cui deve operare e, ancor di più, dagli sbalzi a cui e sottoposta nel corso del suo ciclo di vita. Questi parametri ne condizionano non solo il funzionamento istantaneo (in condizioni di freddo estremo la batteria può non erogare la correnta necessaria), ma anche la durata utile.
Quanto dura la batteria di un tag attivo
In generale, la durata della batteria dipende, oltre che dalla capacità della batteria stessa anche dalla frequenza di trasmissione con cui il tag comunica con il reader. Quest’ultimo fattore dipende sia dalla necessita di “vedere” in real time il tag (e/o i dati acquisiti dal suo sensore), sia dal protocollo di comunicazione del tag verso la rete, ed é per questo che sempre piu frequentemente si assiste alla commercializzazione di tag attivi con protocolli proprietari. Dovendo esprimere delle durate orientative, in normali condizioni di temperatura (assenza di caldo o freddo estrerni, assenza di sbalzi di temperature) la durata della batteria non é quasi mai inferiore ai tre anni. L’allineamento nei criteri di gestione dell’energia immagazzinata porta poi spesso a situazioni in cui la durata della vita del tag é lirnitata dal tasso di autoscarica della batteria (quindi oltre i 5 anni) piuttosto che dal suo reale esaurimento conseguente all`utilizzo.
Quanto é affidabile l’hardware di un sistema Rfid
L’affidabilità dei tag Rfid è normalmente più elevata rispetto ad un quasiasi apparato elettronico perchè presenta un ridotto numero di elementi critici, per quello che riguarda i reader e le antenne, questi sono in genere apparati molto affidabili. Infatti si deve considerare la totale assenza di aperture e di parti in moto rispetto ad altri sistemi di identificazione automatica (come testine magnetiche o terminali bar code), garanzia questa di un lungo periodo di servizio senza guasti.
Quanto tempo resistono i dati memorizzati nel tag
La capacità di memorizzazione all’interno di un tag può essere assicurata facendo ricorso a memorie di tre diversi tipi:
memorie a sole lettura (ROM), utilizzate per memorizzare il codice identificativo unico del tag che viene scritto al momento della fabbricazione del tag stesso secondo lo standard ISO;
memorie scrivibili una volta sola e quindi solamente leggibili;
memorie riscrivibili più volte (flash memory).
Le memorie a sola lettura hanno una vita paragonabile a quella degli altri dispositivi elettronici dotati di ROM, verosimilmente alcune decine di anni.
Tutte le memorie riscrivibili, in funzione della tecnologia utilizzata, hanno vite che sono sernpre di almeno 10 anni nella condizione limite di non esser mai “rinfrescate”. Questi valori sono ampiamente soddisfecenti per la stragrande maggioranza delle applicazioni di identificazione: problemi potrebbero nascere per applicazioni particolari di asset management o di identilicazione di lungo periodo (ad esempio nelle biblioteche di conservazione). Come é facile intuire, per queste applicazioni non si dispone ad oggi di dati empirici sulla reale durata dei dati scritti nelle memorie riscrivibili del tag. Similmente a quanto discusso in precedenza, anche relativamente alle memorie va considerato il possibile impatto del contesto operativo, in quanto l’esposizione del tag a forti campi magnetici o ad altre fonti di irradiazione potrebbe portare alla cancellazione del dati memorizzati.
I costi
Il tema dei costi della tecnologia Rfid é un tema molto articolato, in primo luogo le tecnologie Rfid sono molteplici e molto diverse tra loro. A questo proposito, solo nel caso di tecnologie passive, è possibile esprimere qualche considerazione di carattere generale, mentre per le tecnologie attive, solitamente pensate per applicazioni di identificazione, misura o localizzazione molto peculiari, non è possibile esprimere alcuna indicazione generalmente valida, se non che il costo di un tag attivo può variare anche fortemente (da una decina fino a diverse decine di euro). In secondo luogo è bene ricordare come il costo dell’hardware Rfid rappresenta solo una parte, talvolta neppure la più significativa, di un progetto Rfid. In tutte le applicazioni di limitata scala e laddove il tag non sia a perdere, il puro costo della tecnologia è largamente inferiore ai costi per le attivita di consulenza sui processi ed il loro ridisegno, l’integrazione dei dispositivi sul campo, lo sviluppo e l’integrazione con i software applicativi, per non menzionare i costi indotti sulle infrastrutture. In pratica, gli ambiti in cui il costo della tecnologia è la variabile determinante per la decisione di implementazione si riducono a tutte le applicazioni passive con tag a perdere su larga scala (si può a tal proposito usare la soglia “psicologica” del milione di tag/anno).
Da quanto sopra scaturisce la terza osservazione, ovvero che il costo dell’infrastruttura di lettura (antenna e reader) non è quasi mai un fattore condizionante nella decisione, e questo per due motivi. Da un lato, il costo dell’infrastruttura e ammortizzabile su più anni, mentre il costo del tag a perdere è un costo ricorrente che si sostiene in ogni periodo di esercizio; dall’altro in quanto l’entità assoluta dei due costi è molto spesso diversa di almeno un ordine di grandezza. Ne consegue che investire sul miglioramento delle prestazioni dell`hardware di lettura, usando ad esempio reader piu flessibili nella gestione delle antenne o aumentando il numero delle antenne, può consentire di ottenere le stesse prestazioni adottando tag meno performanti ed ottimizzando significativamente il costo complessivo dell’applicazione.
Se il costo del tag sembra essere il fattore critico in questa categoria di applicazioni (passive su larga scala con tag a perdere), il costo del puro tag Rfid è una frazione minoritaria del costo del tag in configurazione “usabile’, ovvero inserito in una carta servizi, in un biglietto o in un`etichetta autoadesiva, per non menzionare il caso dei tag annegati in gusci plastici utilizzati, ad esempio, in grandi volumi nelle lavanderie industriali.
Infine, come per ogni prodotto manifatturiero, il prezzo di vendita é strettamente dipendente dalle prestazioni tecniche della tecnologia che si acquista (ovvero dalla qualità costruttiva, dalla forma dell’antenna, dalla capacità di funzionamento in ambiente non “RF-friendly”, dalla capacità di memoria, ecc.) così come ovviamente dai volumi di acquisto, con scontistiche significative che si possono “spuntare” su ordini di grandi dimensioni.
Il trend di riduzione dei costi viene abilitato da due fattori priricipali: lo sfruttamento delle economie di scala legate ai crescenti volumi produttivi, da un lato, e l’utilizzo di nuovi processi di produzione, dall’altro.
Da questo punto di vista, per quanto riguarda i tag HF è ragionevole pensare che non vi saranno altre sensibili riduzioni di costo; dal momento che i volumi produttivi già oggi raggiunti sono molto elevati e non sembra immediato individuare un miglioramento radicale nella velocità del processo o nel suo grado di automazione; diversamente, essendovi una certa varietà nella veste “finale” in cui il tag viene impiegato (etichette o tessere forrnato card, in gusci plastici, ecc.) si può supporre che vi sia ancora dello spazio per ridurre i costi del processo di trasformazione del tag. Per i tag UHF, invece, é ragionevole attendersi ancora una progressiva discesa del costo, legata al fato che i volumi produttivi attuali sono ancora lontani dai volumi raggiunti degli HF, e comunque dal reale potenziale di questa tecnologia qualora essa si diffondesse nel settore del largo consumo.
Fonte: Rapporto dell’Osservatorio ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano “Rfid: Alla ricerca del valore”